Centralismo, astensionismo e logica

Oggi non va più tanto di moda il leninismo, ma ci sono delle sopravvivenze curiose e comunque chi si dichiara marxista di solito è anche leninista. Io di mestiere insegno matematica, quindi mi scuserete se tratto l'argomento in un modo un po' particolare. Abbiate la pazienza di seguirmi fino in fondo. Il fatto è che ho sviluppato un'insofferenza logica a certi discorsi, quasi da orticaria, quindi ho bisogno prima di sfogarmi contro la follia illogica.

Logica infatti vorrebbe che in un gruppo leninista (i marxisti odierni sono tutti leninisti) il centralismo democratico si accompagnasse all'elettoralismo e che il centralismo organico rimanesse l'unico baluardo contro la democrazia, quindi si accompagnasse all'astensionismo. In tal caso bisognerebbe rifiutare il leninismo. Ma anche i resti della Sinistra Comunista Italiana sono dichiaratamente leninisti… Ora, se è vero che con il V Congresso, luglio ’24, la russificazione di fatto dell’IC diviene esplicita e rivendicata, ma forse il termine giusto è "imposta", e con metodi davvero antitetici alla scienza critico-storica, mi risulta che anche nei precedenti congressi il metodo seguito era il medesimo. Alla fine di ogni sessione vi era una votazione. Quindi, sostanzialmente, democrazia. E poiché, per quanto ancora mi risulta, i leninisti d'oggi sostengono alcuni il metodo democratico interno ed elettorale, altri il verticismo interno e il non-elezionismo, non si comprende come questi ultimi possano dichiararsi compatibili col professato, se non proclamato ed esibito marxismo-leninismo, termine usurpato dai maoisti ma consono a tutti i marxisti odierni. I più coerenti sono certamente i primi. Sapete che sono vecchio come Matusalemme, quindi ricordo bene come tutti i salmi sessantottini fossero finiti nella gloria elettorale, tanto per parafrasare il vostro capo. Ma anche chi non è caduto nella trappola elettorale dovrebbe essere logicamente lucido e rifiutare il leninismo. Altrimenti bisognerebbe ribadire che l'astensionismo non è una questione di principio, per cui, se fosse storicamente necessario… Si sa dove si va a finire con le mezze giustificazioni teoretiche.

Che già negli anni ’20, in Europa occidentale vi fosse lunga tradizione democratica-elettorale, nessuno dovrebbe confutarlo. E allora: come condividere e rivendicare la critica di Lenin, allora, dell’anti-elezionismo, e poi, il medesimo anti-elezionismo difenderlo, sostenerlo e praticarlo, adesso? La tradizione socialdemocratica c'è sempre, specie dopo il fascismo (riformismo statale) quindi c'è sempre l'infausta influenza dell'opportunismo, e va bene quindi rifiutare il parlamentarismo corruttore e deviatore rispetto al percorso rivoluzionario. Ma se si vuole essere leninisti bisogna armarsi per distruggere il parlamento dal suo interno, non ritirarsi sdegnosamente da esso.

Analoga perplessità suscita l’ancor più evidente mancanza di logica storico-analitica a proposito della questione organizzativa. Se è vero che, pure l’IC, come il Partito russo, si "ispiravano" al centralismo democratico, allora come giustificano i suddetti marxisti-leninisti da una parte l'adozione di una democrazia interna senza centralismo, solo con qualche piccolo leader tuttofare, dall'altra un arci-severo quasi spietato, arcigno e inappellabile centralismo che chiamerei assolutistico? E come fa ad essere leninista un seguace della Sinistra Comunista Italiana se già nel '21, il PCd'I contrapponeva il centralismo organico a quello democratico? Per me sono misteri forse riconducibili solo alla psicologia. La questione della organizzazione ovvero delle procedure pratiche dell’organo della classe operaia, merita un esame che tenga conto della lezione data dall’IC, come dal precedente e ispiratore Partito russo. Si votava anche in tali ambiti, dopo ogni seduta o dibattito ufficiale. Ed era dunque, anche allora, un metodo discutibile, soggetto a sbandamenti e involuzioni incoraggiate proprio dalla procedura, deteriormente liberal-parlamentare. Dai raggruppamenti marxisti (leninisti) neanche un accenno a questo fatto eclatante. Per essi è tutto logico, sostenibile, lineare.

Ma veniamo al dunque. Com’è possibile proclamarsi tanto orgogliosamente leninisti senza far debita chiarezza su simili, evidenti, stridenti contraddizioni? Se aveva ragione la Frazione astensionista al II Congresso del 1920 allora difettava Lenin, o viceversa. La storia ha dato poi i suoi responsi, e così sulla questione organizzativa. Il richiamo alla giusta concezione del dialogo come approfondimento conduce immediatamente all'originario senso del termine discussione e a quello collegato dialettica e dovrebbe avvertirsi pressoché istintivo, spontaneo, naturale estendere, pur con tutte le eccezioni e riserve del caso, una simile concezione di metodo alle questioni di natura pratica. Affermare che la storia umana, l'etica, la società e simili fuoriescano dall'ambito critico-razionale o che sfuggano inevitabilmente a una trattazione logico-scientifica mi sembra una questione del tutto decisiva. La questione democratica all'interno del partito rivoluzionario non è una questione politica. Non si risolve criticando, accettando, rifiutando o facendo il tifo per il centralismo in una modalità o nell'altra. Che la teoria del socialismo, al suo sviluppo più coerente e profondo ambisca definirsi scienza è forse una delle questioni più essenziali. In scienza non si vota, si studia e si scopre. Certamente si discute, ma votare mai. Il movimento rivoluzionario ha pagato immensamente per questo "errore". Ora non si può più far finta di niente e quindi occorre studiare Marx insieme con la storia di ciò che è successo con i marxismi. Raccolgo così l'insegnamento del grande matematico Enriques: occorre concepire le scienze fisico-matematiche in quanto comprensive della loro storia. Il che vuol dire: la loro conoscenza profonda non può prescindere dall'acquisizione del loro percorso storico-critico, unico modo per giungere a un soddisfacente quadro teorico.

 

Siamo d'accordo. Se si accetta una definizione scientifica e storica di centralismo, è evidente che non ha alcun senso, come modo risolutivo, contare le teste su una questione "politica" quando quest'ultima faccia parte del percorso rivoluzionario e quindi scientifico. La procedura democratica non ha alcun potere di chiarire o approfondire un argomento per giungere a una decisione. Immediatamente, per sua natura, il metodo democratico forma schieramenti che si fronteggiano discutendo intorno a presupposti non espliciti. L'ambito democratico, quindi, è il contenitore di scontri fra interessi, per i quali la verità scientifica non ha alcun significato. Infatti, dove le decisioni comportano un retroterra scientifico, il voto non ha mai attecchito per manifesta inutilità. E i leninisti dovrebbero ricordare come proprio Lenin, nei momenti difficili, quando si trovava solo contro tutti, utilizzasse pressioni formidabili per far passare le scelte che riteneva corrette, in deroga al principio democratico. Occorre ricordare, come reazione positiva al centralismo democratico, la concezione organico-biologica sviluppata dalla Sinistra Comunista "italiana". In ogni organismo vivente non c'è bisogno che le cellule obbediscano al dettato di un'assemblea o di una gerarchia rappresentativa eletta; tutte sono informate da un programma, perciò tutte sanno benissimo cosa fare.

Rivista n. 38